Biografia
Formazione futurista di Roberto Marcello Baldessari.
Momenti di riflessione.
Roberto Marcello Baldessari nasce ad Innsbruck, in Austria, il 23 marzo 1894, dove la famiglia risiede da qualche anno. Di lì a poco, si verificano dei moti contro la minoranza di lingua italiana, e così la famiglia Baldessari lascia Innsbruck per rientrare a Rovereto (allora austriaca) dove il padre acquista il Caffè Accademia, che diventa in breve centro d’italianità e d’irredentismo. Negli anni dell’adolescenza roveretana, terminate le elementari, Baldessari s’ingegna a disegnare nel caffè paterno i profili degli avventori senza cedere ad un innato senso del comico e del caricaturale. Il professore di disegno a mano libera della Reale Scuola Elisabettina, Luigi Comel (che frequenta il locale), vede i disegni e, dopo avergli impartito per qualche tempo lezioni private di disegno e pittura, convince il padre a inviare Roberto a Venezia, dove appunto il giovane si iscrive all’Accademia di Belle Arti nel 1908.
Roberto Marcello Baldessari nasce ad Innsbruck, in Austria, il 23 marzo 1894, dove la famiglia risiede da qualche anno. Di lì a poco, si verificano dei moti contro la minoranza di lingua italiana, e così la famiglia Baldessari lascia Innsbruck per rientrare a Rovereto (allora austriaca) dove il padre acquista il Caffè Accademia, che diventa in breve centro d’italianità e d’irredentismo. Negli anni dell’adolescenza roveretana, terminate le elementari, Baldessari s’ingegna a disegnare nel caffè paterno i profili degli avventori senza cedere ad un innato senso del comico e del caricaturale. Il professore di disegno a mano libera della Reale Scuola Elisabettina, Luigi Comel (che frequenta il locale), vede i disegni e, dopo avergli impartito per qualche tempo lezioni private di disegno e pittura, convince il padre a inviare Roberto a Venezia, dove appunto il giovane si iscrive all’Accademia di Belle Arti nel 1908. Va detto che dalla Scuola Reale Elisabettina uscì, proprio all’inizio del ‘900, una serie di talenti che, una volta che il Trentino nel 1919 divenne Italia, hanno segnato profondamente la cultura del XX secolo, non solo a livello locale ma anche nazionale e internazionale. Si tratta di personaggi come Tullio Garbari, Lionello Fiumi, Umberto Maganzini, Carlo Cainelli, Riccardo Maroni, Luciano Baldessari, Giovanni Tonini, Fausto Melotti, Gianni Caproni e naturalmente Fortunato Depero. Il prof. Comel era dunque una persona qualificata per suggerire un consiglio del genere.

Va detto che dalla Scuola Reale Elisabettina uscì, proprio all’inizio del ‘900, una serie di talenti che, quando il Trentino nel 1919 divenne Italia, hanno segnato profondamente la cultura del XX secolo, non solo a livello locale ma anche nazionale e internazionale. Si tratta di personaggi come Tullio Garbari, Lionello Fiumi, Umberto Maganzini, Carlo Cainelli, Riccardo Maroni, Luciano Baldessari, Giovanni Tonini, Fausto Melotti, Gianni Caproni e naturalmente Fortunato Depero. Il prof. Comel era dunque una persona qualificata per suggerire un consiglio del genere.
A Venezia, Baldessari giunse imbevuto di quella pittura sporca, di confine, tedesca, un po’ espressionista. All’Accademia seguì gli insegnamenti accademici di Guglielmo Ciardi che rappresentava la tradizione, la continuità con il passato. Dal Ciardi Baldessari apprese come esaltare la luce nei colori, ed apprese anche l’antica tecnica della velatura. Infatti, quando poi divenne futurista fu l’unico a dipingere il Futurismo con le velature. Contemporaneamente seguì anche i corsi di incisione con Emanuele Brugnoli che lo introdusse ai segreti delle punte secche e delle acqueforti, tanto che, anni dopo, abbandonato il Futurismo, divenne uno degli incisori più riconosciuti in Europa.


Va detto che dalla Scuola Reale Elisabettina uscì, proprio all’inizio del ‘900, una serie di talenti che, quando il Trentino nel 1919 divenne Italia, hanno segnato profondamente la cultura del XX secolo, non solo a livello locale ma anche nazionale e internazionale. Si tratta di personaggi come Tullio Garbari, Lionello Fiumi, Umberto Maganzini, Carlo Cainelli, Riccardo Maroni, Luciano Baldessari, Giovanni Tonini, Fausto Melotti, Gianni Caproni e naturalmente Fortunato Depero. Il prof. Comel era dunque una persona qualificata per suggerire un consiglio del genere.

A Venezia, Baldessari giunse imbevuto di quella pittura sporca, di confine, tedesca, un po’ espressionista. All’Accademia seguì gli insegnamenti accademici di Guglielmo Ciardi che rappresentava la tradizione, la continuità con il passato. Dal Ciardi Baldessari apprese come esaltare la luce nei colori, ed apprese anche l’antica tecnica della velatura. Infatti, quando poi divenne futurista fu l’unico a dipingere il Futurismo con le velature. Contemporaneamente seguì anche i corsi di incisione con Emanuele Brugnoli che lo introdusse ai segreti delle punte secche e delle acqueforti, tanto che, anni dopo, abbandonato il Futurismo, divenne uno degli incisori più riconosciuti in Europa.

Il conterraneo Attilio Lasta, da tempo in laguna, lo introdusse nell’ambiente di Ca’ Pesaro, dove si agitava la prima contestazione di allora verso la Biennale di Venezia, ritenuta troppo conservatrice. In questo modo egli si trovò al confronto di due possibili modalità artistiche: da una parte gli insegnamenti accademici e dall’altra, invece, i fermenti dei giovani sperimentatori di Ca’ Pesaro, primo fra tutti Gino Rossi, che, come un fauve, usava i colori quale arma contundente. In quell’ambiente Baldessari incontrò e conobbe tanti giovani artisti di allora, come Arturo Martini e Ugo Valeri. E tuttavia la ricerca dei lagunari se da una parte gli insegnò ad osare, a sperimentare senza paura, dall’altra non lo attrasse più di tanto. Certo la loro frequentazione ne influenzò via via la tavolozza, che divenne sempre più ‘accesa’, mentre il segno andò a sua volta verso una progressiva disgregazione che potremmo definire post-divisionista, ma quella filosofia dell’isolamento, del ‘ritiro’ quasi spirituale sulle isole della laguna, per lavorare in silenzio, non era per lui, che era una natura errabonda.
Si era, infatti, alla vigilia di una svolta. Ben oltre Venezia si muovevano anche altri fermenti. Baldessari sicuramente aveva avuto sentore della poetica futurista che già da qualche anno stava infiammando le giovani generazioni. Proprio a Venezia vi era stato il lancio di manifesti futuristi dalla torre dell’orologio, l’8 luglio 1910, con il proclama Contro Venezia Passatista, fatto di cui certo era a conoscenza, se forse non vi avesse anche assistito, e poi nella sua stessa Rovereto già dal 1913 vi era un circolo futurista animato da Depero, A Venezia, poi, nei primi anni Dieci espose anche Boccioni, opere se non già futuriste, sicuramente divisioniste… ed appunto divisioniste, a metà tra lo stile di Boccioni e quello di Carrà, sono i primi esperimenti di un Baldessari che si sta allontanamento dalla ‘lezione del colore luminoso’ ricevuta dal Ciardi. Un volto di donna dipinto ancora a Venezia sa molto di Boccioni. Inoltre, con il 1914, i futuristi s’impegnarono anche sul versante politico, avviando un’insistente campagna ‘interventista’, per l’ingresso dell’Italia in guerra contro l’Austria e la liberazione di Trento e Trieste. L’arte stava insomma divenendo un fatto non solo figurativo ma propriamente esistenziale, totale. Ed è proprio in questo periodo, ed in questo contesto sociale che, anche in seguito al ricongiungimento con la famiglia, giunta a Venezia per sfuggire al precipitare degli eventi bellici in Trentino, nei primi mesi del 1915 avviene il trasferimento a Firenze.


Il conterraneo Attilio Lasta, da tempo in laguna, lo introdusse nell’ambiente di Ca’ Pesaro, dove si agitava la prima contestazione di allora verso la Biennale di Venezia, ritenuta troppo conservatrice. In questo modo egli si trovò al confronto di due possibili modalità artistiche: da una parte gli insegnamenti accademici e dall’altra, invece, i fermenti dei giovani sperimentatori di Ca’ Pesaro, primo fra tutti Gino Rossi, che, come un fauve, usava i colori quale arma contundente. In quell’ambiente Baldessari incontrò e conobbe tanti giovani artisti di allora, come Arturo Martini e Ugo Valeri. E tuttavia la ricerca dei lagunari se da una parte gli insegnò ad osare, a sperimentare senza paura, dall’altra non lo attrasse più di tanto. Certo la loro frequentazione ne influenzò via via la tavolozza, che divenne sempre più ‘accesa’, mentre il segno andò a sua volta verso una progressiva disgregazione che potremmo definire post-divisionista, ma quella filosofia dell’isolamento, del ‘ritiro’ quasi spirituale sulle isole della laguna, per lavorare in silenzio, non era per lui, che era una natura errabonda.

Si era, infatti, alla vigilia di una svolta. Ben oltre Venezia si muovevano anche altri fermenti. Baldessari sicuramente aveva avuto sentore della poetica futurista che già da qualche anno stava infiammando le giovani generazioni. Proprio a Venezia vi era stato il lancio di manifesti futuristi dalla torre dell’orologio, l’8 luglio 1910, con il proclama Contro Venezia Passatista, fatto di cui certo era a conoscenza, se forse non vi avesse anche assistito, e poi nella sua stessa Rovereto già dal 1913 vi era un circolo futurista animato da Depero, A Venezia, poi, nei primi anni Dieci espose anche Boccioni, opere se non già futuriste, sicuramente divisioniste… ed appunto divisioniste, a metà tra lo stile di Boccioni e quello di Carrà, sono i primi esperimenti di un Baldessari che si sta allontanamento dalla ‘lezione del colore luminoso’ ricevuta dal Ciardi. Un volto di donna dipinto ancora a Venezia sa molto di Boccioni. Inoltre, con il 1914, i futuristi s’impegnarono anche sul versante politico, avviando un’insistente campagna ‘interventista’, per l’ingresso dell’Italia in guerra contro l’Austria e la liberazione di Trento e Trieste. L’arte stava insomma divenendo un fatto non solo figurativo ma propriamente esistenziale, totale. Ed è proprio in questo periodo, ed in questo contesto sociale che, anche in seguito al ricongiungimento con la famiglia, giunta a Venezia per sfuggire al precipitare degli eventi bellici in Trentino, nei primi mesi del 1915 avviene il trasferimento a Firenze.

«Già nel 1915 frequentavo il Caffè Giubbe Rosse – racconta Baldessari in uno scritto autobiografico – Ebbi i primi contatti con i futuristi e il dono di tante care amicizie: Marinetti, Settimelli, Chiti, Lega, Conti, Campana, Nannetti, Venna e Rosai».
Baldessari, dunque, sposa la causa del cosiddetto ‘futurismo fiorentino’ che seguiva il metodo analitico Boccioniano, in contrasto con le ricerche analogiche portate avanti in area romana da Balla e Depero. I suoi principali artefici erano, da una parte, Ardengo Soffici che operava una mediazione tra cubismo e futurismo, e, dall’altra, Ottone Rosai che perseguiva invece una lettura “popolare” del programma futurista, con accenti vernacolari.
Iniziano dunque i suoi primi esperimenti futuristi guardando a Boccioni, a Carrà ed a Russolo.
E su queste coordinate si svilupperà lo stile Baldessari.


«Già nel 1915 frequentavo il Caffè Giubbe Rosse – racconta Baldessari in uno scritto autobiografico – Ebbi i primi contatti con i futuristi e il dono di tante care amicizie: Marinetti, Settimelli, Chiti, Lega, Conti, Campana, Nannetti, Venna e Rosai».

Baldessari, dunque, sposa la causa del cosiddetto ‘futurismo fiorentino’ che seguiva il metodo analitico Boccioniano, in contrasto con le ricerche analogiche portate avanti in area romana da Balla e Depero. I suoi principali artefici erano, da una parte, Ardengo Soffici che operava una mediazione tra cubismo e futurismo, e, dall’altra, Ottone Rosai che perseguiva invece una lettura “popolare” del programma futurista, con accenti vernacolari.
Iniziano dunque i suoi primi esperimenti futuristi guardando a Boccioni, a Carrà ed a Russolo.
E su queste coordinate si svilupperà lo stile Baldessari.