Biografia
Il dopoguerra. Futurismo e avanguardia
All’inizio del 1919 si tiene a Milano la Grande Esposizione Nazionale Futurista, dove Marinetti raduna il meglio dei futuristi superstiti e le giovani leve per rilanciare il Futurismo del dopoguerra. Infatti dal conflitto il movimento era uscito decimato: morti Boccioni e Sant’Elia, Carrà transfuga verso la Metafisica, Sironi in rotta verso il futuro Novecento e un po’ persi per strada Severini, che era tornato a Parigi a fare quello che ha sempre fatto (cioè il cubista), e Russolo che si era perduto nelle ‘sedute spiritiche’.
All’inizio del 1919 si tiene a Milano la Grande Esposizione Nazionale Futurista, dove Marinetti raduna il meglio dei futuristi superstiti e le giovani leve per rilanciare il Futurismo del dopoguerra. Infatti dal conflitto il movimento era uscito decimato: morti Boccioni e Sant’Elia, Carrà transfuga verso la Metafisica, Sironi in rotta verso il futuro Novecento e un po’ persi per strada Severini, che era tornato a Parigi a fare quello che ha sempre fatto (cioè il cubista), e Russolo che si era perduto nelle ‘sedute spiritiche’.

Baldessari è tra gli invitati alla mostra dove espone quattordici dipinti, e proprio nel corso della serata inaugurale conosce un collezionista svizzero che s’innamora della sua pittura, ed acquista tutti i dipinti in mostra. Si chiamava Alfred Hess, era un banchiere di Zurigo e diverrà il suo mecenate per molti anni. In pratica mise Baldessari sotto contratto, offrendogli un mensile in cambio dell’esclusiva sul suo lavoro, cioè il poter scegliere, di volta in volta, quello che gli piaceva… senza limite. Come rifiutare! Il rapporto andò avanti sino al 1924 quanto l’Hess disse a Baldessari che di sue opere (dipinti, pastelli, disegni) ne aveva a centinaia e non sapeva più dove metterle. E quindi chiuse il rapporto commerciale e lasciò Baldessari libero… ma anche disoccupato. Infatti, nel corso di quei cinque anni, per il mercato, le gallerie ed il collezionismo, Baldessari non era di fatto più esistito. Dunque non aveva clienti… niente… e in sostanza per mangiare dovette rientrare nel figurativo e guardarsi attorno… soprattutto all’estero.
Di fatto finisce qui, al 1924, il rapporto commerciale con Hess ed anche la prima stagione futurista di Baldessari… Ma rimase l’amicizia, perché Hess, in futuro, nei momenti di bisogno ci sarà sempre. Ma l’artista già da qualche anno aveva iniziato a girovagare.
«Nel 1920 – ricorda Baldessari in un suo scritto di memorie – ebbe inizio il mio vagabondaggio attraverso l’Europa, vagabondaggio che doveva durare quasi vent’anni. Ed anche in questo inquieto periodo gli incontri ed i contatti con gli artisti non mancarono».
Poté così verificare di persona come altri movimenti, quali il Costruttivismo, De Stijl, Dada, e lo stesso lavoro di Kandinskij, avessero già da tempo superato la poetica futurista, perlomeno come Baldessari la intendeva.
Baldessari è tra gli invitati alla mostra dove espone quattordici dipinti, e proprio nel corso della serata inaugurale conosce un collezionista svizzero che s’innamora della sua pittura, ed acquista tutti i dipinti in mostra. Si chiamava Alfred Hess, era un banchiere di Zurigo e diverrà il suo mecenate per molti anni. In pratica mise Baldessari sotto contratto, offrendogli un mensile in cambio dell’esclusiva sul suo lavoro, cioè il poter scegliere, di volta in volta, quello che gli piaceva… senza limite. Come rifiutare! Il rapporto andò avanti sino al 1924 quanto l’Hess disse a Baldessari che di sue opere (dipinti, pastelli, disegni) ne aveva a centinaia e non sapeva più dove metterle. E quindi chiuse il rapporto commerciale e lasciò Baldessari libero… ma anche disoccupato. Infatti, nel corso di quei cinque anni, per il mercato, le gallerie ed il collezionismo, Baldessari non era di fatto più esistito. Dunque non aveva clienti… niente… e in sostanza per mangiare dovette rientrare nel figurativo e guardarsi attorno… soprattutto all’estero.
Di fatto finisce qui, al 1924, il rapporto commerciale con Hess ed anche la prima stagione futurista di Baldessari… Ma rimase l’amicizia, perché Hess, in futuro, nei momenti di bisogno ci sarà sempre. Ma l’artista già da qualche anno aveva iniziato a girovagare.
«Nel 1920 – ricorda Baldessari in un suo scritto di memorie – ebbe inizio il mio vagabondaggio attraverso l’Europa, vagabondaggio che doveva durare quasi vent’anni. Ed anche in questo inquieto periodo gli incontri ed i contatti con gli artisti non mancarono».
Poté così verificare di persona come altri movimenti, quali il Costruttivismo, De Stijl, Dada, e lo stesso lavoro di Kandinskij, avessero già da tempo superato la poetica futurista, perlomeno come Baldessari la intendeva.

Ma già sul finire degli anni Dieci e i primi anni Venti, Baldessari realizza alcune opere di sperimentazione volumetrica che stanno a metà strada tra Futurismo e Novecento come Lucienne, 1919 (il ritratto della prima moglie), o la Raccolta delle arance, 1921, o Due figure, del 1922, che occhieggia dichiaratamente a Sironi, a riprova che a quell’epoca il Futurismo in quanto tale già gli andava stretto. Questa sua evoluzione si può capire dalla recensione (quasi profetica) che fa del suo lavoro Emilio Notte sul n° 75 di “Roma futurista” del 21 marzo 1920 dove afferma che «… dipinge i suoi quadri nei momenti di perfetto ricordo e di perfetta dimenticanza. E’ un controsenso questo che pochissimi capiscono, come per pochissimi sono questi cenni… La sua preoccupazione è lo stile (da non confondersi con ciò che si chiama maniera), stile che è ampiamente considerato, severamente perseguito». E dunque era il suo stile che lui seguiva e non la ‘maniera futurista’.
Paradossalmente, però, nel pieno di questo momento di grande ‘sbandamento’, nel maggio del 1921 Marinetti lo chiama per partecipare con Balla, Depero e pochi altri alla mostra futurista di Parigi e, ancora in quello stesso maggio, Baldessari è il mattatore della sala futurista alla Seconda Esposizione Nazionale d’Arte di Padova dove tiene una mostra personale di opere futuriste.
Ma, nonostante questo exploit, il sasso era già stato lanciato, e, nel corso nel 1922, si trasferì in Germania, dapprima a Hannover quindi ad Altona, presso Amburgo. Nella prima città tra il 1922 ed il 1923 frequentò assiduamente Kurt Schwitters collaborando all’opera Merzbau, una sorta di scultura-costruzione che il dadaista tedesco aveva realizzato all’interno della sua casa, e che, iniziata nel soggiorno, via via era cresciuta attraverso i piani, fagocitandola. Sono di quegli anni una serie di collage futur-dadaisti (come Dada) che testimoniano la grande apertura di Baldessari alla poetica dadaista.


Ma già sul finire degli anni Dieci e i primi anni Venti, Baldessari realizza alcune opere di sperimentazione volumetrica che stanno a metà strada tra Futurismo e Novecento come Lucienne, 1919 (il ritratto della prima moglie), o la Raccolta delle arance, 1921, o Due figure, del 1922, che occhieggia dichiaratamente a Sironi, a riprova che a quell’epoca il Futurismo in quanto tale già gli andava stretto. Questa sua evoluzione si può capire dalla recensione (quasi profetica) che fa del suo lavoro Emilio Notte sul n° 75 di “Roma futurista” del 21 marzo 1920 dove afferma che «… dipinge i suoi quadri nei momenti di perfetto ricordo e di perfetta dimenticanza. E’ un controsenso questo che pochissimi capiscono, come per pochissimi sono questi cenni… La sua preoccupazione è lo stile (da non confondersi con ciò che si chiama maniera), stile che è ampiamente considerato, severamente perseguito». E dunque era il suo stile che lui seguiva e non la ‘maniera futurista’.

Paradossalmente, però, nel pieno di questo momento di grande ‘sbandamento’, nel maggio del 1921 Marinetti lo chiama per partecipare con Balla, Depero e pochi altri alla mostra futurista di Parigi e, ancora in quello stesso maggio, Baldessari è il mattatore della sala futurista alla Seconda Esposizione Nazionale d’Arte di Padova dove tiene una mostra personale di opere futuriste.
Ma, nonostante questo exploit, il sasso era già stato lanciato, e, nel corso nel 1922, si trasferì in Germania, dapprima a Hannover quindi ad Altona, presso Amburgo. Nella prima città tra il 1922 ed il 1923 frequentò assiduamente Kurt Schwitters collaborando all’opera Merzbau, una sorta di scultura-costruzione che il dadaista tedesco aveva realizzato all’interno della sua casa, e che, iniziata nel soggiorno, via via era cresciuta attraverso i piani, fagocitandola. Sono di quegli anni una serie di collage futur-dadaisti (come Dada) che testimoniano la grande apertura di Baldessari alla poetica dadaista.

Ad Hannover, fondamentale fu pure l’incontro con Frederick Vordemberge-Gildewart che lo introdusse nell’area del “Die Abstrakten Gruppe”, la cui frequentazione produsse verso il 1923-1924 una nuova stagione sperimentale con lavori di natura astratto-geometrica, come lo splendido Composizione-Rosso Venezia, del 1924. Insomma, due incontri fondamentali per Baldessari, specie considerando il fatto che, qualche anno dopo, nel 1934, a Milano in occasione della mostra di Gildewart alla Galleria del Milione, il critico Siegfried Giedion profeticamente scriveva che «quando qualcuno, fra una cinquantina d’anni, si domanderà quale pittore di questi nostri tempi abbia vissuto nella città di Hannover, non saranno che due i nomi rimasti: il pittore Vordemberge-Gildewart e il pittore e poeta dadaista Kurt Schwitters».
A questo punto, essendo giunto quasi ai limiti delle sperimentazioni d’avanguardia del tempo, Baldessari subì una sorta di crisi di crescita: aveva provato tutto, con convinzione, ma nulla di tutto ciò sentiva come la sua vera strada. Inoltre nulla di tutto questo gli dava da mangiare…
Uniche certezze erano il suo innato amore per la pittura, da una parte, e le necessità vitali dall’altra. Infatti, nel corso di un temporaneo rientro in Italia, verso il 1925, le sue sperimentazioni dadaiste e astratte furono per nulla comprese, e il Futurismo stesso sembrava quasi caduto in disgrazia.
Per sopravvivere non vi era che una strada: il definitivo ritorno al figurativo.


Ad Hannover, fondamentale fu pure l’incontro con Frederick Vordemberge-Gildewart che lo introdusse nell’area del “Die Abstrakten Gruppe”, la cui frequentazione produsse verso il 1923-1924 una nuova stagione sperimentale con lavori di natura astratto-geometrica, come lo splendido Composizione-Rosso Venezia, del 1924. Insomma, due incontri fondamentali per Baldessari, specie considerando il fatto che, qualche anno dopo, nel 1934, a Milano in occasione della mostra di Gildewart alla Galleria del Milione, il critico Siegfried Giedion profeticamente scriveva che «quando qualcuno, fra una cinquantina d’anni, si domanderà quale pittore di questi nostri tempi abbia vissuto nella città di Hannover, non saranno che due i nomi rimasti: il pittore Vordemberge-Gildewart e il pittore e poeta dadaista Kurt Schwitters».

A questo punto, essendo giunto quasi ai limiti delle sperimentazioni d’avanguardia del tempo, Baldessari subì una sorta di crisi di crescita: aveva provato tutto, con convinzione, ma nulla di tutto ciò sentiva come la sua vera strada. Inoltre nulla di tutto questo gli dava da mangiare…
Uniche certezze erano il suo innato amore per la pittura, da una parte, e le necessità vitali dall’altra. Infatti, nel corso di un temporaneo rientro in Italia, verso il 1925, le sue sperimentazioni dadaiste e astratte furono per nulla comprese, e il Futurismo stesso sembrava quasi caduto in disgrazia.
Per sopravvivere non vi era che una strada: il definitivo ritorno al figurativo.